Informazione e Conoscenza della realtà che ci circonda narrati con la fantasia

Foggia, 28 febbraio 2013

Monte Sant'Angelo non è "Gomorra"
Vi narro un sogno

Vi racconto una storia di censura del giornale "Polis" di Parma, finita al centro della bufera giudiziaria con l'arresto dell'ex sindaco, di un esponente del PDL e dell'editore di un quotidiano.
Diciamolo subito: non credo che in una isolata cittadina garganica ci possano essere politici così rozzi da censurare o condizionare la piccola stampa locale. Se così non fosse, il loro agire sarebbe misero e discutibile.

Inizio, intanto, il racconto.
Come nella nostra comunità cittadina esistono testate giornalistiche, libere ed indipendenti, anche a Parma sono attivi alcuni giornali locali e tra questi "Polis", un giornale libero.
Con l'elezione a sindaco di un esponente del centrodestra parmigiano pare che questa giovane testata giornalistica abbia subito "pressioni" se non vere e proprie "censure". A raccontare l'ignobile storia è un cronista politico.
Sia chiaro, nella nostra degradata città non ci sono giornali che subiscono "pressioni" (?!) e quando qualche giornale cartaceo o on line cambia linea editoriale o grafica è solo per migliorare la qualità dell'informazione, sempre più libera.

Così è … se vi pare.
Secondo l'accusa, l'amministrazione comunale emiliana dell'epoca avrebbe utilizzato soldi pubblici per assicurarsi un atteggiamento favorevole da parte del giornale "Polis", che non è un giornale condizionato.
Quel comportamento è stato, purtroppo, considerato reato.
Ma nella ridente cittadina garganica questi fenomeni politico-amministrativi non accadono. Almeno così sembra.

Non accadono perché siamo tutti tanto buoni.
Il recente riconoscimento di patrimonio dell'UNESCO della Celeste Basilica di San Michele Arcangelo, tutti i cittadini sono in odore di santità.
La giunta comunale, però, in modo apprensivo, di questo alto riconoscimento mondiale ne ha fatto una veste candida, buona per coprire tutte le nudità amministrative.
Non c'è atto pubblico dove non viene rammentato e non c'è occasione pubblica per cantilenare il secolare riconoscimento, spesso utilizzato per rompere gli omertosi silenzi.
Nel mese di novembre, infatti, il preoccupante buonismo della giunta comunale è stato versato in un verbale di deliberazione, avente ad oggetto l'assunzione di un valido pubblicista, giornalista, che dovrebbe occuparsi delle fiumane problematiche storico, religiose e perché no, turistiche.
Costui, referente, forse direttore editoriale di una testata locale, ha mostrato le sue indiscutibili abilità professionali durante la recente campagna elettorale con assennati articoli ed imparziali interviste, come, forse, dichiarate nel curriculm vitae presentato, a cui ha allegato la recente iscrizione all'ordine.
I tanti altri pubblicisti, giornalisti locali, stiano tranquilli: anche la loro bravura potrebbe interessare il Re Nudo, qualora iniziassero a sostituire alla libertà di stampa la libertà di pensare, di scrivere, di fotografare, di filmare.
Questo, purtroppo, è accaduto perché nel municipio dell'aspro comune montano garganico "non sono presenti professionalità interne all'ente da poter utilizzare per gli scopi prefissati".
Quali?
Forse eravamo distratti. Siate sicuri non è così. Noi siamo artefici del nostro futuro e ci batteremo fino alla fine per proteggere un grande "BENE": LA LIBERTÁ DI STAMPA.

E' vero le alte professionalità dell'ente sono coloro che non hanno titoli culturali o quelli che hanno titoli scolastici medio-bassi. Ma guarda caso?!
La storia locale che vi racconto, però, non è quella di Parma, non è solo quella del giornale "Polis", che non è la piazza greca, non è solo la storia locale di una razza di amministratori innominabili, ma è anche storia di tanti silenzi e di tante piccole responsabilità condivise, accettate e taciute.
Polis", dicevo, nasce come giornale libero, autonomo. Dopo aver condotte "grosse inchieste" di denuncia, con l'elezione di un ex sindaco le "pressioni" cominciano a farsi molto forti, con la richiesta di vere e proprie censure.
Intanto, il tempo scorre e anche nella fredda e grigia città garganica si vota.
Qualcuno viene eletto, altri spariscono nel dimenticatoio politico locale. Ma i vincenti festeggiano. Bene!
Ci sono incontri o semplici chiacchierate estive in qualche bar, mangiucchiando qualcosa e preparando il buon governo, rivisitando in modo ossessivo l'agenda delle vendette. A Parma, il cronista politico è in difficoltà e parla di assunzioni in regione …
Poi le attese assunzioni vennero e tra gli assunti c'erano nomi di parmigiani eccellenti tra i quali uomini dello staff dell'ex sindaco.
Ma che storia è?
Sia a tutti chiaro, non è la storia di uno contro tutti.
Certe cose le ho vissute più di altri, perché mi occupavo di cronaca politico-amministrativa, dichiara il cronista politico. Anzi, a detta del cronista le "pressioni" hanno riguardati anche altri. Chi?
In quella città tanta gente si è stesa una grossa fetta di prosciutto sugli occhi, neanche di quello buono, per potere ricevere un buono spesa natalizio o altre piccolezze umane, facendo finta di non vedere quello che succedeva o succede?
Ma la mia città ancora non è GOMORRA.
E se questo fosse un sogno?
A presto.

06 aprile 2021

Vi parlo dei dieci anni di un matto che vola con la fantasia

di Giuseppe Armillotta

Giuseppe si definisce un matto che vola con la fantasia. Vuole raccontare un pò della sua storia. Dice un pò, perchè ha una lunga stroia da raccontare. Ha vissuto, diversi anni, con una tribù nella foresta amazzonica. Poi, lui, la moglie indigena e sua figlia decidono di trasferirsi in Spagna. E qui, la sua storia diventa ancora più complessa. Con questo scritto, racconta, invece, i suoi anni vissuti a Monte Sant'Angelo.

Da quando frequento il centro diurno di Monte Sant'Angelo sono passati 10 anni. E posso dire: " Mi sento bene, mi sento amato". Posso dirvi che mi sono sentito sempre  accolto e ho ricevuto tanto aiuto.
Tutti, operatori, volontari e amici hanno fatto  si che la mia vita non peggiorasse. Nel centro, ho incontrato persone (amici) e tanti  operatori  qualificati. Ricordo quando, nel marzo 2019, mi ero chiuso in me e loro non mi hanno lasciato mai solo. Gli operatori, gli amici e i volontari hanno fatto sentire, con il loro modo di fare, un grande  interesse per me.
Alle persone normali della mia Città voglio dire che chi frequenta il Centro non è un matto. Agli increduli dico che  i matti siete voi. E' il tempo che ognuno di loro faccia cadere i suoi pregiudizi. 
A tutti loro dico: "Sappiate che noi siamo liberi, facciamo tutto quello che vogliamo in libertà, senza alcun tipo di imposizione.

Ci confrontiamo

Quando cantiamo, lo facciamo perchè ci va di farlo. Quando andiamo in gita, andiamo per divagare e conoscere altre realtà geografiche".
A volte, quando viviamo il nostro paese, la nostra realta', abbiamo paura delle vostre dicerie  su di noi. Nel centro diurno funziona tutto, perche' c'e' un' organizzazione.

Sappiate che è una grande struttura che tanti comuni ci invidiano: sappiatela curare e tutelare. Lo dico a voi giovani.  In quell' accogliente posto, facciamo teatro, perchè ci piace.
Vorrei dirvi, in poche parole, che se il centro non ci fosse io sarei andato giu' di testa da parecchio tempo. Vi voglio dire che da quando frequento il Centro non mi sono più ricoverato. Di questo, vi ringrazio tutti sia per l' accolgienza, sia per  l'amore che  ci donano gli opeatori, ma anche voi quando ci sorridete. Per noi, questi semplici sorrisi sono benefici, ci fanno  sentire importanti, accolti, anche in questa società malata. Un ringraziamento di cuore lo voglio rivolgere a Francesca, Fausta, Loreta, Caterina, Nicola, Daniele, Michele e a tutte gli operatori e opeatrici del Centro. Grazie, a  tutti loro. Con queste persone,  con il dottor Michele Grossi e il sociologo Matteo Notarangelo ci sentiamo sempre sicuri di non precipitare nel malessere della  nostra mente. Tutte queste persone lottano con noi e ci tutelano dagli eventi scabrosi della vita. Ringrazio Caterina per i suoi consigli e il suo lavoro, sempre attenta alla nostra situazione personale e familiare. Ringrazio Matteo e Fausta che ci offrono  il meglio del meglio, ottima la cucina, ottimi  spazi, tutti nostri. Per chiudere, vorrei dire ai tanti che ci guardano male, che i matti, lo ripeto,  non siamo noi, perche', come diceva la poetessa Alda Merini , "i matti non uccidano". Questi 10 anni sono passati.
Il centro diurno, per me, è un porto sicuro per vivere tranquilli. Per noi, giorno dopo giorno,  il centro è il luogo dove incontrare la famiglia acquisita. Nel centro diurno di Monte Sant'Angelo, non c'è solitudine: ognuno è sempre a disposizione dell'altro. Come lo posso scrivere?  Il centro, per me, è una seconda casa, dove ritrovo tutto l'amore e l'affetto perduto, Ringrazio, ancora una volta, Fausta, che non ci fa mancare niente e ci stimola a vivere liberi.
Questa è la mia storia.
Auguro a tutti di poter venire a trovaci, ma non come turisti, bensì come persone. Forse, questo mio racconto sara' inutile, ma grazie alle persone che ci vogliono bene.
Giuseppe Armillotta, un matto che vola con la sua fantasia.

11 aprile 2021

L'albero che sognava il mare

di Liliana Isabella Surabhi Stea*

C'era una volta un albero nato in un grande bosco di un freddo paese, lì dove gli inverni e tutto si ammanta di neve; un paese ricco di fiumi che scorrono veloci verso il mare, nati da alte montagne; lassù egli cresceva circondato da foreste di alberi forti e belli come lui. Gli umani erano pochi e vivevano nel bosco soprattutto per la caccia alla fine dell'inverno quando la terra, preparandosi alla bella stagione, fioriva e rinverdiva, i fiumi, con il disgelo, cantavano insieme agli uccelli che felici tornavano al nido.

C’era una volta un albero nato in un grande bosco di un freddo paese del nord, lì dove gli inverni sono lunghi e tutto si ammanta di neve; un paese ricco di fiumi che  scorrono veloci verso il mare, nati da alte montagne; lassù egli cresceva circondato da foreste di alberi forti e belli come lui. Gli umani erano pochi e venivano nel bosco soprattutto per la caccia alla fine dell’inverno quando la terra, preparandosi alla bella stagione, fioriva e rinverdiva. I fiumi, con il disgelo, cantavano insieme agli uccelli che felici tornavano al nido.
Anche tra i rami del nostro giovane albero avevano presto nidificato, ed egli non si stancava mai di ascoltarli, incuriosito dai loro racconti. Cinguettando essi parlavano di paesi lontani e di gente diversa da quella del posto. Paesi dove lunga era l’estate e più grandi i villaggi. “Ma cosa sono i villaggi -chiede l’albero- qui intorno non ne vedo”.
Laggiù il mare lambisce le spiagge con onde lente e lunghe; senza infuriarsi mai, non è come il mare di quassù. Anche il mare l’alberello non sa immaginare, ha soltanto conoscenza del suono che le acque dei fiumi producono andando a valle, perché dal suo sito non riesce a vederli, può solo sentire e dunque non sa com’è un fiume. Tante cose egli non sa, e altrettante vorrebbe saperne. Nel mentre che cresce il suo corpo, si accresce in lui il desiderio di conoscere il mondo, quel mondo di cui parlano gli uccelli, il mondo lontano da lì. Sempre più forte si fa in lui la convinzione che un giorno anche lui potrà partire con loro. Un giorno...quando sarà diventato adulto.
Lo disse una mattina alla grande quercia che gli stava vicino e le chiese come mai lei non si fosse mai allontanata da lì e la quercia, stupita, gli rispose che Mai ad un albero sarebbe stato possibile andare da qualsiasi parte, perché egli è creato per stare. Per sempre egli vive nel posto in cui nacque.

L'albero che sognava il mare

Quale non fu la delusione per il nostro amico albero! Si sentì mancare le forze...Ora che era diventato grande e forte era convinto di esser pronto per partire come gli uccelli. La sua chioma ampia e folta, il suo tronco alto e robusto fremevano al tocco del vento e gioivano di quel movimento leggero, pregustando il movimento futuro che lo avrebbe portato lontano. Non riusciva a immaginare che non fosse così!

Ma le dure parole della quercia avevano infranto il suo sogno felice ed egli precipitò nel più cupo sconforto.
“Ma come -si disse- io solo tra gli esseri viventi non potrò allontanarmi dal luogo in cui nacqui. Io solo non potrò mai conoscere gli esseri che abitano l’acqua, e non so immaginarli!, ed i campi di grano dal colore del sole, le case degli umani ed i fiumi. Io posso conoscere soltanto ciò che vive intorno a me, donnole, cervi, e bruchi, e scoiattoli… no io questo non posso accettarlo!”. Soffriva il poverino e la sua sofferenza era grande tanto quanto era stato grande il suo sogno.
Il dolore gli tolse la voglia di vivere. Non gioiva più del suo rapporto profondo con la terra, né della presenza dei suoi numerosi ospiti ed amici. Essi avevano qualcosa che a lui era negato per sempre: la possibilità di  muoversi. Perfino la minuscola formica poteva fare ciò che lui tanto, ma invano, agognava. Cominciò quindi a ritrarre, invece di affondarle, le sue lunghe radici dal suolo; non volle più assorbire la nutriente linfa dalla terra e sordo divenne a ogni invito, ad ogni esortazione che gli giungeva accorata da alberi e animali a lui vicini “Accetta –essi dicevano- il destino e la natura. Tu non sei un bruco, e non puoi trasformarti in farfalla”. Ma lui non ascolta nessuno, pur soffrendo al pensiero che i suoi amici uccellini non avrebbero più ritrovato, alla sua morte, il loro nido tra i rami, e nessun’altra bestiola del bosco si sarebbe più fatta riparo del suo grande, capiente e forte corpo. Procede irremovibile nel suo tristo proposito e un giorno, ormai debole, stanco, sfinito, crollò al suolo, con le lunghe radici ormai secche, spezzate.
“Poverino- lo compianse la quercia- ha voluto contrastare il suo destino e si è privato della gioia di vivere”. Tutti i suoi amici lo compiansero e si rattristarono per lui. Ma l’albero non era morto! La forza del suo desiderio lo teneva ancora in vita, nonostante, privo di cibo, fosse tanto debole da non riuscire a parlare. E quindi tacque, per conservare le sue povere forze a sostegno della speranza che un giorno, chissà, presto o tardi… e i giorni passarono, lunghi. Nulla accadeva. Quell’attesa finì col produrre una lunga ferita nel cuore dell’albero e un solco si aprì nel suo tronco. 
“Conviene ch’io muoia del tutto - si disse quel giorno- non ho più speranze. Devo arrendermi e smettere di sperare in chissà cosa” e stava per lasciarsi morire quando ecco che invece due giovani uomini arrivano.
Sono stanchi per il lungo cammino che hanno fatto e si fermano lì accanto a lui, attratti da quel tronco steso in terra, e così come un giorno facevano gli uccelli, si siedono su di lui per riposare. E mentre si rifocillano iniziano a parlare. Raccontano anche loro, come un giorno facevano gli uccellini, e parlano dei progetti futuri. Molte cose, ancora una volta, l’albero non comprende, ma è lieto di essere ancora utile a qualcuno. Ancora una volta prima di morire. Ma intanto che parlano, i due uomini, lo toccano, lo guardano ben bene, e ad un tratto si interrompono per dirsi che è bello, che è proprio un bell’albero, un bellissimo tronco di albero. “Guarda - dice uno dei due- come è lunga e profonda questa crepa. Se scavassimo ancora per darle una forma, ne faremmo una canoa, che ne dici?” “Ma certo- gli risponde l’amico- una splendida idea! Ne faremo una bella canoa e torneremo al villaggio navigando sul fiume, invece di riattraversare i boschi”. Presto fatto! i due giovani, lieti per la bella decisione, si mettono al lavoro e tagliano, scavano, lisciano con lima  e coltello fino a sera felici e inconsapevoli di avere ridato la vita e la speranza ad un tronco di albero in procinto di lasciarsi morire per lo sconforto. La linfa più non scorre in lui veloce come un tempo, non avendo più le sue radici, eppure gli sembra di sentirsi più vivo e più forte che mai.
I due uomini lo hanno alleggerito e rimodellato, si sente sfiorato dall’aria in ogni centimetro di ‘pelle’, ma è bello quello che sente, è una sensazione nuova, mai provata. Al calar della notte tutti dormono nella foresta, anche i due uomini, stanchi e soddisfatti. L’albero invece non dorme, eppure si lascia cullare dai sogni, dal suo sogno di sempre, ed è finalmente felice: “Domani andrò al fiume, e saprò. Com’è un fiume domani saprò. Vedrò il mondo che è fuori di qui: un villaggio, le donne, i bambini. I covoni...le cose sentite e mai viste”. Più dolce d’ogni altra mai vissuta gli sembra questa notte.
Domani andrà al fiume... e poi al villaggio... Un giorno poi, chissà, arriverà anche al mare.
Liliana Isabella Surabhi Stea, pugliese, appassionata di storia, psicoanalista, è l'autrice di "Perdonate, signore, questa è la mia patria! (perchè siamo come siamo), edizioni, Magenes, con prefazione di Pino Aprile

 

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